Il potere dei consumatori: il caso dell’olio di palma

Il potere dei consumatori: il caso dell’olio di palma

Ne avrete sentito parlare o sicuramente vi sarete imbattuti in una delle tante pagine dedicate al tema. Dopo la pubblicazione di un nuovo rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (a fondo pagina il link) sulla presenza di contaminanti in alcuni tipi di oli vegetali, il panico si è diffuso tra i consumatori e le aziende ne hanno preso atto.
Tanto che Coop intende ritirare dagli scaffali oltre 200 prodotti a marchio Coop contenenti olio di palma (si andrà a esaurimento scorte,ndr): «Lo facciamo per precauzione» spiega Marco Pedroni, presidente della catena di supermercati. «Anche se sappiamo benissimo che il problema è l’utilizzo elevato, e la sostanza non va demonizzata». Già, perché l’olio di palma, salito sul banco degli imputati qualche anno fa, riceve un verdetto di piena colpevolezza: colpevole di essere dannoso per la salute, colpevole di contribuire (non poco) alla deforestazione, colpevole di distruggere ecosistemi, di annientare la biodiversità animale e vegetale. I consumatori hanno scelto: niente olio di palma a colazione. Coop non è l’unica catena di supermercati a volerlo eliminare, Esselunga ci sta pensando e sui cibi senza olio di palma si sono buttati in molti, Unes e Pam, Carrefour. Per non parlare di grandi e rinomate aziende come Colussi che ha scelto qualche mese fa di eliminare l’odiato olio vegetale dagli ingredienti.

Proviamo però a fare chiarezza. Diciamo subito che ci fa piacere che la presa di coscienza dei consumatori abbia imposto alle grandi aziende un cambiamento di rotta. Finalmente è chiaro come possiamo orientare la politica (alimentare, ambientale, sociale) con le nostre scelte. La notizia è che raccolte firme, rimbalzi sui vari social network, carta e byte dedicati al tema, inchieste televisive, e soprattutto scelte alternative (che causano forti cali nelle vendite del prodotto incriminato) funzionano. Questo caso dimostra che possiamo davvero influenzare economia e politica a partire dal nostro quotidiano, possiamo chiedere un sistema alimentare che rispetti la terra, gli animali, gli ecosistemi, e quindi l’uomo. E quindi sì, in questo senso possiamo cantare vittoria.

Ma che cosa ci sta dicendo l’Efsa?
«L’Efsa ha valutato i rischi per la salute pubblica derivanti dalle sostanze: glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e loro esteri degli acidi grassi. Le sostanze si formano durante le lavorazioni alimentari, in particolare quando gli oli vegetali sono raffinati ad alte temperature (circa 200°C).

I più elevati livelli di GE, come pure di 3-MCPD e 2-MCPD (compresi gli esteri) sono stati rinvenuti in oli di palma e grassi di palma, seguiti da altri oli e grassi. Per i consumatori di tre anni di età e oltre, margarine e “dolci e torte” sono risultati essere le principali fonti di esposizione a tutte le sostanze».

Che cosa vuol dire?
Il rapporto conferma ciò che si sapeva da tempo: temperature superiori a 200°C per raffinare i grassi portano alla formazione di derivati del glicerolo, nello specifico 2-monocloropropandiolo (2-MCPD), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD) e glicedil esteri degli acidi grassi (GE). La loro formazione è un effetto collaterale della raffinazione, quindi sono considerati contaminanti alimentari: sostanze che non aggiungono nulla alle qualità degli alimenti e che quindi non dovrebbero finirci dentro. Questi contaminanti sono assimilati dal nostro organismo attraverso l’alimentazione, da qui la necessità di studiarli e di comprendere se e quanto possano essere pericolosi.

L’accento va posto sulla quantità: secondo l’Istituto superiore per la sanità l’assunzione dei grassi

saturi non dovrebbe essere superiore al 10% delle calorie totali. A destare preoccupazione è soprattutto: «L’esposizione ai GE dei bambini che consumino esclusivamente alimenti per lattanti, in quanto è fino a 10 volte quella che sarebbe considerata di lieve preoccupazione per la salute pubblica» ha detto la dott.ssa Helle Knutsen, presidente del gruppo di esperti scientifici dell’Efsa sui contaminanti nella catena alimentare (Contam). Ci sembra sacrosanto capire che cosa stiamo dando da mangiare ai nostri bimbetti, e tra l’altro così piccoli. Insomma usiamo la testa come sempre.

Gli altri capi di imputazione

E veniamo agli altri capi di imputazione. Non ci siamo certo dimenticati che nel Sudest asiatico, nell’Africa subsahariana e in America centrale continua la rapina delle terre a danno delle popolazioni locali, si deforestano migliaia di ettari per lasciare spazio alle coltivazioni, rendendo l’aria irrespirabile e provocando la morte degli oranghi. E questo continua a succedere. Ma anche in questo caso bisognerebbe approfondire. Non tutte le aziende imboccano questa strada, ne abbiamo parlato in maniera approfondita qui Esiste un olio di palma sostenibile? Forse prendersela con le aziende che si stanno impegnando per approvvigionarsi da filiere sicure, dal basso impatto ambientale e dove i lavoratori sono tutelati non è la strategia giusta. Potrebbe andare molto, molto, peggio.

E vorremmo aggiungere un aspetto da non trascurare: la palma da olio ha una resa altissima rispetto a ogni tipo di olio vegetale. Un ettaro di terreni coltivati a palma produce quasi 3,6 tonnellate di olio, vale a dire dieci volte più dell’olio di soia o dell’olio d’oliva, e cinque volte rispetto all’olio da colza… E torniamo a quanto detto sin da subito: quello che vorremmo è un sistema di produzione che rispetti tutti, ambiente, animali e uomini.

Siamo sicuri che demonizzare un solo prodotto, senza differenziare, ci aiuti a raggiungere l’obiettivo? E soprattutto, con che cosa verrà sostituito l’olio di palma? Se non cambia tutto il sistema alimentare, sconfiggere un ingrediente non basterà.

Michela Marchi
m.marchi@slowfood.it

(http://www.slowfood.it/potere-dei-consumatori-caso-dellolio-palma-2/)