Siamo all’anno zero. All’età della pietra. Prendiamo atto dello stato delle cose. E’ inutile continuare a sbatterci, ad invocare crociate nel nome della qualità reale, dell’artigianalità della produzione, del “questo l’ho fatto io”, per combattere gli industriali, gli imbottigliatori, le agropiraterie – perché è ormai evidente che di questo si tratta – svestiamo i panni dei paladini, strenui difensori delle cultivar, dei polifenoli, delle tecniche di estrazione, nel nome del fascino dei sentori erbacei, di pomodoro, carciofo. Basta.
Chiudiamo il libro dei sogni, smettiamo di scrivere ogni giorno il diario che racconta la quotidianità della nostra tribù, quella chiusa nella Riserva Indiana dell’Olio vero.
Per una volta, osserviamo la situazione da un punto di vista diverso. Mettiamoci nei panni del 90% dei consumatori mondiali; di quelli che per il loro acquisto di olio si affidano ad un prezzo e solo per abitudine ad un marchio, di quelli per i quali l’olio è olio. Punto e basta. Questi sono i consumatori pietrificati, che nel tempo consolideranno sempre di più le loro abitudini alimentari, al massimo intimoriti dagli allarmi dell’OMS ed inconsapevoli appartenenti alla tribù dominante, immensa, quella dei Malnutriti, alimentati quotidianamente dall’industria, che mette a loro disposizione quanto negli anni sono riusciti a far diventare cibo. Dalla tribù dei Malnutriti ogni tanto fuoriesce qualcuno e crea piccole riserve: Vegetariani, Vegani.
Per la ‘Tribù dei Malnutriti’ l’olio italiano cos’è? E’ solo un marchio, ma talmente forte da non essere minimamente scalfito dalle denunce e dai sequestri operati dagli organi di controllo, dalle indagini delle procure, dal quella stampa ‘partigiana’ che dà risalto alle truffe ed ai raggiri. Olio tunisino importato senza dazi? 7.000 tonnellate di olio sequestrato perché commercializzato come italiano?
Quasi nessuno ricorda più l’operazione Arbequino del 2012 del procuratore di Siena Aldo Natalini.
Nulla di nuovo sotto il sole nelle inchieste di Guariniello, della DDA di Bari e del procuratore di Trani, Savastano. Niente. Non cambia niente. A schernirsi sono solo quelli della Tribù dell’Olio Vero chiusi nella Riserva, inconsapevoli anche della loro unica fortuna, che per l’industria non contano nulla, non esistono.
Alla resa dei conti nel piatto corre il rischio di rimanere solo l’‘italian sounding’, la sensazione di essere italiano. Quanto potrà mai durare un’azienda con un mercato forte solo di una sensazione? Se nessuno protegge a livello istituzionale la vera qualità della produzione italiana agro alimentare e preferisce lasciare l’‘Italian Sounding’ nelle mani ristoranti tricolori, pastifici tricolori, imbottigliatori tricolori, salumifici tricolori, … Troppe bandierine italiana sventolano in ogni dove, senza controllo.
Ma facciamo il punto, tanto per vedere come stanno le cose.
Il 65% dell’olio d’oliva mondiale è in mano a tre sole imprese: la mega cooperativa iberica Dcoop, l’anglo-spagnola Deoleo (Carapelli, Bertolli e Sasso) e la portoghese Sovena. Di fronte a questo strapotere le aziende italiane, a mano a mano, capitolano: Salov (Sagra e Filippo Berio) venduta ai cinesi, Oleifici Mataluni (Dante) che ha aperto recentemente a capitali stranieri. Poche le aziende realmente e interamente italiane che operano nel settore oleario. Alcune hanno delocalizzato tanto, vedi Colavita, ormai si può parlare di azienda americana più che italiana, altre, per lo più piccole e medie imprese, cercano di difendere quote di mercato, fatturati e margini con azioni al limite della legge. Autodifesa o danno per l’immagine dell’Italia, soprattutto in un momento in cui non sono solo più le indagini della magistratura a stanare i ‘furbetti dell’olio’, ma i giornali ed i media ad occuparsi, direttamente e attraverso prove comparative, della qualità dell’extra vergine che le aziende italiane confezionano e vendono, in Italia e all’estero. Il gioco è ormai stato scoperto.
Ricapitoliamo:
1) l’industria olearia italiana è solo un marchio;
2) il consumatore acquista senza preoccuparsi del contenuto (è tutto extra vergine);
3) il contenuto è Spagna, Tunisia, Grecia, Italia, …;
Cosa accadrà nei prossimi anni non è così difficile da immaginare. L’industria olearia italiana, così come l’abbiamo conosciuta, è destinata a scomparire o a giocare un ruolo assolutamente secondario sulla scena internazionale. La Tribù dei Malnutriti continuerà a comprare olio come ha sempre fatto, senza preoccuparsi dell’origine spagnola, tunisina, greca, senza preoccuparsi minimamente di chi sia la proprietà del ‘marchio’, ma lasciando che il marketing possa continuare a giocare con l’immortale l’Italian sounding’. Non è una novità, è accaduto in molti altri settori dell’agroalimentare: Pernigotti è turca, Orzo Bimbo è della multinazionale Novartis, Peroni, Birra Moretti, Buitoni, San Pellegrino, Perugina… Andiamo avanti? No, fermiamoci, altrimenti al problema di prodotto, dovremmo affiancare l’incapacità manageriale e le falle frutto del passaggio generazionale.
Ma allora, se dovesse accadere questo, coloro che vivono nella Riserva indiana dell’Olio Vero corrono il rischio di essere gli unici ad avere a che fare con l’olio italiano vero. Ma allora è questo il motivo per cui, da qualche anno la Riserva indiana dell’Olio Vero si sta allargando. Giorno dopo giorno vi si affacciano generazioni diverse di produttori, desiderosi di confrontarsi, di guardarsi in faccia tra colleghi e con i consumatori.
Gente questa, che non vuole uscire dalla Riserva, ma entrare. Hanno capito che nella Tribù dell’Olio Vero ci sono diventati portatori sani di un messaggio, forte della qualità reale del loro lavoro. Che hanno abbandonato la bruschetta, hanno studiato ed ora vogliono completare con le loro storie le sensazioni percepite dal naso nel bicchiere da degustazione. E’ gente questa che ha capito che per crescere non bisogna soltanto gridare ai quattro venti che l’olio è buono e fa bene, ma che c’è bisogno di una comunicazione mirata, destinata a quelli che hanno a cuore la qualità della tavola quotidiana. Quelli che evadono dalla Tribù dei Malnutriti, che non hanno più fretta e sono desiderosi di dedicare tempo alla scelta di quello che mangiano.
Mi fermo qui. Devo partire per Lucca.
Una delle Capitali italiane della Riserva Indiana dell’Olio Vero.
Lì suonano una musica che mi piace.
Non è Sanremo.
Maurizio Pascari
(Fonte – http://www.teatronaturale.it/strettamente-tecnico/l-arca-olearia/22489)